Dal 1° luglio 2018 ai datori di lavoro o committenti che debbano corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, non è più consentito effettuare pagamenti in contanti della retribuzione e di suoi acconti, pena l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro.
Tale obbligo ai applica ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa ed infine ai contratti di lavoro stipulati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.
Nella nota diramata sulla materia, l’INL afferma che devono ritenersi esclusi dall’ambito di applicazione della norma, in quanto non richiamati espressamente dal comma 912, i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale.
Le modalità elencate attraverso le quali effettuare la corresponsione della retribuzione sono costituite dai seguenti strumenti:
– bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
– strumenti di pagamento elettronico;
– pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
– emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.
In considerazione del tenore letterale e della ratio della norma, l’Ispettorato ritiene che la violazione in oggetto risulti integrata:
a) quando la corresponsione delle somme avvenga con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore;
b) nel caso in cui, nonostante l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento, il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario in favore del lavoratore venga successivamente revocato ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso; circostanze che evidenziano uno scopo elusivo del datore di lavoro che mina la stessa ratio della disposizione.
La finalità antielusiva della norma risulta avvalorata, secondo l’INL, anche dalla previsione dell’ultimo periodo del comma 912 a mente del quale la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Ne consegue che, ai fini della contestazione, sia necessario verificare non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege ma che lo stesso sia andato a buon fine.