In base a quanto più volte ribadito nelle Risoluzioni del Mise, l’attività di “Home Restaurant” continua ad essere classificata come attività imprenditoriale di somministrazione di alimenti e bevande e, dunque, può essere regolarmente esercitata solo nel rispetto delle specifiche prescrizioni previste per detta attività, perciò soggetta alla relativa disciplina commerciale, fiscale, igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza.
A seguito di alcune segnalazioni provenienti dalle associazioni territoriali in tema di “Home Restaurant”, si ritiene opportuno fare il punto della situazione con un breve riepilogo del contesto normativo attualmente in vigore. la Fipe, consapevole dei rischi economici, sociali e giuridici che le nuove attività di sharing economy comportano, monitora da tempo e con attenzione tale fenomeno, svolgendo approfondimenti ed intervenendo attivamente anche in sede parlamentare.
Trattasi di un’attività che si caratterizza per la preparazione di pranzi e di cene presso il proprio domicilio in giorni dedicati e per poche persone, trattate, perlopiù, come ospiti “personali” ma paganti (cfr. Risoluzione Mise n. 50481/2015) e pubblicizzata anche tramite domini su siti web.
Come si ricorderà, nelle scorse legislature sono state presentate alcune proposte di legge aventi ad oggetto la regolamentazione dell’attività di ristorazione in abitazione privata; le stesse, tuttavia, anche grazie all’intervento della Federazione, non hanno mai completato l’iter procedimentale per assumere il valore di Legge. Questa la ragione per cui, allo stato, tale fenomeno non è oggetto di una specifica normativa a livello nazionale.
Tutto ciò premesso, sulla base del quadro normativo vigente e dei pareri espressi dal Mise, deve ritenersi vigente quanto più volte ribadito dal MISE, che qualifica detta attività economica quale “attività di somministrazione di alimenti e bevande, [che] può essere esercitata previo possesso dei requisiti di onorabilità nonché professionali ai sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e previa presentazione […] di una SCIA, qualora si svolga in zone non tutelate, o previa richiesta di un’autorizzazione, ove trattasi di attività svolta in zone tutelate”

Dunque:
 anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela;
 sebbene i clienti vengano trattati come “ospiti personali”, la fornitura di dette prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo e, quindi, anche se eseguita con modalità innovative, l’attività in commento rientra tra le attività economiche in senso proprio, rappresentata dalla fornitura del servizio di somministrazione di alimenti e bevande in cambio
del pagamento di un prezzo.
Ciò comporta che la stessa possa essere regolarmente esercitata solo “nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici”
Appare opportuno segnalare che tale conclusione è stata recentemente confermata anche dalla Giurisprudenza amministrativa, la quale, riferendosi esplicitamente agli “Home Restaurant”, ha statuito che “non essendo in vigore alcuna speciale disciplina derogatoria, all’attività in commento, avente essenzialmente ad oggetto la somministrazione di alimenti e bevande […], per di più non occasionale […], non può che applicarsi l’ordinaria normativa regolante appunto tali somministrazioni, […] indipendentemente dalla circostanza che ciò avvenga nel domicilio dell’esercente”