Dal “Rapporto sulle economie territoriali” dell’Ufficio Studi Confcommercio emerge che il Mezzogiorno resta nettamente indietro rispetto al resto del Paese in termini di accessibilità territoriale, burocrazia, legalità. A livello nazionale si stima una crescita dell’1,2% nel 2018 e dell’1,1% nel 2019, con i consumi in aumento rispettivamente dello 0,9% e dell’1%.

CERNOBBIO – Nella classifica della crescita economica tra il 2014 e il 2017 l’Italia è venticinquesima su 26 Paesi europei. Quella che viviamo da quattro anni a questa parte, dunque, non è crescita ma soltanto ripresa, e in più è anche in fase di rallentamento. E’ da questa considerazione che parte il Rapporto sulle economie territoriali realizzato dall’Ufficio Studi di Confcommercio e presentato in apertura della tradizionale due giorni in riva al lago di Como. Cominciamo dai numeri: per il 2018, considerando anche “il perdurante impatto negativo dei problemi strutturali: eccesso di burocrazia e carico fiscale, difetto di legalità, di accessibilità territoriale e di qualità del capitale umano” Confcommercio prevede, dando per scontata la neutralizzazione completa delle clausole di salvaguardia per il 2019, una crescita dell’1,2%,  seguita da un +1,1% nel 2019, mentre i consumi salirebbero rispettivamente dello 0,9% e dell’1%. Il punto vero è però un altro, politico oltre che economico. Anche nel biennio 2018-2019 non si vede alcun miglioramento nella condizione del Mezzogiorno e, come ha affermato il direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella, “senza Sud è declino certo per l’Italia”. L’ottimismo emerso a metà del 2017 dopo la pubblicazione dei conti territoriali del 2015 è già dimenticato: il Mezzogiorno è nettamente indietro rispetto al resto del Paese in termini di accessibilità territoriale, burocrazia, legalità. L’unico parametro in cui supera la media nazionale è il rapporto tra occupati e popolazione, ma questo è il frutto perverso sia del calo delle nascite che della migrazione interna (dal 2000 al 2016 oltre 900mila meridionali si sono trasferiti al Centro o al Nord al netto di quanti sono andati al Sud). Dal Rapporto, insomma, emerge che il “problema Italia” è ancora in larga misura l’arretramento strutturale del Sud, un’area che vale ancora oltre un terzo della popolazione e quasi un quarto del prodotto lordo. Dopo oltre 150 anni di storia unitaria del nostro Paese c’è ancora una “questione meridionale” da risolvere.