Due i vincitori delle politiche del 4 marzo: il Movimento 5 stelle, che va oltre il 30% delle preferenze, sfonda al Mezzogiorno e diventa il primo partito, e la Lega, che sorpassa Forza Italia, con ben oltre il 17%. Sconfitta pesante per il Partito Democratico, che si aggira intorno al 20%. Compito difficile per il Capo dello Stato.

Un terremoto politico. É un’Italia sconvolta nei suoi equilibri tradizionali quella che va delineandosi, mentre si avvia al termine  lo spoglio dei voti delle elezioni politiche del 4 marzo. Ci sono due vincitori: il Movimento 5 stelle, che va oltre il 30% delle preferenze, sfonda al Mezzogiorno e diventa il primo partito, e la Lega, che sorpassa Forza Italia, con ben oltre il 17%. Sconfitta pesante per il Partito Democratico, che si aggira intorno al 20%. Oltre il 4% per Fratelli d’Italia e intorno al 3,4 per Leu. Esultano i Cinque stelle, per  Di Battista “se questi dati saranno confermati, si tratterà di un trionfo. Tutti quanti dovranno venire a parlare con noi”. Il centrodestra si proclama vincitore e il Pd si dice pronto a fare opposizione. Ma quello che emerge dalle urne è che nessuna forza politica ha raggiunto quota 40%, ovvero la maggioranza assoluta. Sia alla Camera che al Senato il centrodestra ha più seggi ma è lontano dall’autosufficienza. Il Movimento Cinque stelle, secondo le ultime proiezioni è il nuovo primo gruppo parlamentare al Senato con un minimo di 109 senatori che possono ancora salire fino a 119. Secondo gruppo è la Lega con un minimo di 58 seggi e terzo Forza Italia. Il Pd scivola al quarto posto. Anche alla Camera, rivoluzionata la mappa dei gruppi parlamentari. I Cinque Stelle, come al Senato, saranno il nuovo primo gruppo con un numero di deputati compreso fra 230 e 240. Secondo gruppo sarà la Lega: da 115 a 123 eletti. E il Pd terzo gruppo, tra i 104 e i 110 deputati, di poco al di sopra di quelli di Forza Italia, quinto gruppo. In attesa dei risultati definitivi si pensa già al dopo e alle possibili alleanze per governare a cui però fino ad ora tutti hanno detto un secco no. La parola poi passerà al capo dello Stato e non sarà un compito facile.