Analisi del responsabile fiscale di Confcommercio, Vincenzo De Luca. La politica fiscale della Confederazione prevede di evitare gli aumenti delle aliquote IVA sia attraverso una seria politica di revisione e contenimento della spesa pubblica improduttiva sia attraverso interventi di contrasto all’evasione fiscale.
Il primo banco di prova che il nuovo Governo sarà chiamato ad affrontare sarà quello di evitare gli aumenti dell’IVA previsti a partire dal 2019. Al riguardo, ricordo che la legge di bilancio 2018 prevede i seguenti aumenti delle aliquote d’imposta.
- Per il 2019, è previsto l’incremento di 1,5 punti percentuali dell’aliquota IVA del 10% (che, quindi, salirebbe all’11,5%) più l’incremento di 2,2 punti percentuali dell’aliquota IVA del 22% (che, quindi, verrebbe elevata al 24,2%), che produrrebbero maggiori imposte per oltre 12 miliardi di euro.
- Per il 2020, è previsto un ulteriore incremento di 1,5 punti percentuali dell’aliquota IVA del 10% (che, quindi, passerebbe dall’11,5% al 13%) più l’incremento di 0,7 punti percentuali dell’aliquota IVA del 22% (che, quindi, verrebbe elevata dal 24,2% al 24,9%). Tale aumento, sommato all’incremento del 2019, produrrebbe maggiori imposte per 19 miliardi di euro.
- Infine, per il 2021, è previsto un ulteriore incremento di 0,1 punti percentuali dell’aliquota IVA del 22% (che, quindi, verrebbe elevata dal 24,9% al 25%). Tale aumento, sommato agli incrementi del 2019 e del 2020, produrrebbe maggiori imposte per oltre 19 miliardi di euro.
Ora, quali sarebbero gli effetti dei previsti aumenti dell’IVA sull’economia del nostro Paese?
Premesso che l’IVA è un’imposta che colpisce i consumi ed è regressiva e, quindi, un eventuale aumento delle aliquote d’imposta colpirebbe, principalmente, i redditi più bassi perché una proporzione maggiore di tali redditi è spesa per consumi, secondo le stime fatte dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e contenute nel “Documento di Economia e Finanza 2018”, l’aumento dell’IVA causerebbe una minor crescita del PIL ed un rialzo dell’inflazione. Tuttavia, partendo dall’assunto che un aumento delle spese fa aumentare il PIL, mentre un aumento delle tasse lo fa diminuire, alcuni autori sostengono che aumentare l’IVA avrebbe sul PIL un impatto negativo minore rispetto a ridurre la spesa pubblica per investimenti. Quindi, disinnescare gli aumenti dell’IVA attraverso la riduzione della spesa pubblica per investimenti sarebbe controproducente ai fini della crescita del PIL. Come anche, al medesimo fine, sarebbe controproducente disinnescare gli aumenti dell’IVA attraverso un aumento dei contributi sociali che comporterebbe un aumento del costo del lavoro a carico delle imprese e dei lavoratori. Ciò premesso, vorrei sottolineare che la politica fiscale della Confederazione non ha mai previsto di disinnescare gli aumenti dell’IVA attraverso la riduzione della spesa pubblica per investimenti né, tantomeno, attraverso l’aumento dei contributi sociali a carico delle imprese e dei lavoratori. La politica fiscale di Confcommercio prevede di evitare gli aumenti delle aliquote IVA sia attraverso una seria politica di revisione e contenimento della spesa pubblica improduttiva sia attraverso interventi di contrasto all’evasione fiscale. Come abbiamo evidenziato nei nostri documenti politici, il gettito IVA del nostro Paese deve aumentare non attraverso l’aumento delle aliquote d’imposta ma attraverso la riduzione del «gap IVA» (l’evasione dell’imposta sui consumi) che ammonta ad oltre 40 miliardi di euro, e la fatturazione elettronica tra soggetti privati – introdotta, obbligatoriamente, in Italia a partire dal 2019 – può essere un efficace strumento per ridurre tale «gap». Pertanto, le soluzioni per evitare gli aumenti dell’IVA ci sono ed il nostro auspicio è che il Governo ponga questo obiettivo come obiettivo prioritario della propria Agenda di Governo, perché se scatteranno gli aumenti delle aliquote IVA non ci saranno né vincitori né vinti ma perderemo tutti.
Vincenzo De Luca
Responsabile fiscale
“Confcommercio-Imprese per l’Italia”
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