Nel corso dell’ultimo anno i prezzi nel settore della ristorazione sono cresciuti del 4,1%, meno rispetto all’aumento complessivo che, complice l’impennata dell’energia, ha raggiunto il 4,8%. Un dato messo in luce dall’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, che ha rielaborato i dati diffusi dall’Istat. Le imprese della ristorazione continuano a mantenere un profilo inflazionistico accorto, anche per accompagnare una ripresa dei consumi, ma con i locali che faticano a riempirsi e bollette raddoppiate, gli imprenditori sono allo stremo.
Spiega il presidente di Fipe Confcommercio della provincia di Imperia Enrico Calvi: “Al di là del Covid e delle restrizioni, i grossi problemi sono l’inflazione e l’aumento dei costi fissi, che si aggiungono all’aumento dei costi delle materie prime, a fronte di un netto calo dei consumi. Innanzi a una simile situazione, il cortocircuito è dietro l’angolo.
Sapevamo che sarebbero arrivati gli aumenti, si è trattato infatti di un’onda lunga partita a novembre, ma il problema è che non finirà qua. Per quanto riguarda l’energia elettrica, stiamo parlando di aumenti che arrivano anche oltre il 50% e il settore della ristorazione è caratterizzato da una serie di macchinari che consumano molta energia, quali frigoriferi, forni, elettrodomestici, ecc. I 5 miliardi stanziati dal Governo per mitigare gli aumenti di luce e gas sono una misura che può andare ad alleviare la situazione soltanto per un breve periodo. Qui stiamo rischiando davvero molto”.
Prosegue Calvi: “L’aumento del gasolio, utilizzato dai pescherecci, ricade sul costo del pesce e in generale gli approvvigionamenti sono destinati ad aumentare ulteriormente. L’aumento dei costi di produzione delle capsule, dei tappi di sughero, del vetro porteranno a bottiglie di vino e olio più costose, all’aumento di tutti gli inscatolati e così via. Non dimentichiamo anche che nel 2021 siamo stati chiusi. Ora siamo aperti, senza aiuti e con i costi che aumentano e i consumi in stallo. Non chiediamo aiuti, ma almeno di bloccare l’aumento dei costi fissi, che vanno a incidere su locali che stanno fatturando di meno. Non possiamo lavorare aspettando la “bella estate”. Innanzitutto perché non è per nulla scontato che l’estate 2022 sarà come quella dello scorso anno, ma soprattutto non si può pensare di lavorare in estate per sopravvivere in inverno”.
Conclude il presidente provinciale della Fipe Confcommercio: “In ultimo, non dobbiamo sottovalutare il fatto che la precarietà del nostro comparto porta ad allontanare manodopera specializzata. Assumere per la stagione e avere uno staff ridotto nell’inverno allontana i professionisti e così rischiamo di diventare un comparto che non offre più le garanzie di un tempo. È come un cane che si morde la coda”.