Punti vendita sopra i 400 metri quadrati chiusi per dodici festività l’anno. Più altre quattro chiusure in altrettante festività a scelta delle Regioni. In cambio, libertà di tenere aperto la domenica. E nessun vincolo anche per i negozi sotto i 400 metri quadrati di ampiezza, ovunque si trovino.
Punti vendita sopra i 400 metri quadrati chiusi per dodici festività l’anno. Più altre quattro chiusure in altrettante festività a scelta delle Regioni. In cambio, libertà di tenere aperto la domenica. E nessun vincolo anche per i negozi sotto i 400 metri quadrati di ampiezza, ovunque si trovino. Questa la proposta che il mondo della distribuzione italiana ha condiviso a larga maggioranza. E intende presentare al governo. L’obiettivo è convincere l’esecutivo giallo-verde a fare marcia indietro rispetto al disegno di legge in discussione in commissione Attività Produttive della Camera. Un testo che introdurrebbe limitazioni ben più rigide: oltre alle 12 festività con le saracinesche abbassate, ci sarebbero anche 26 domeniche «chiuse» su 52, in pratica la metà. Il tutto con sanzioni amministrative per chi sgarra che andrebbero da io a 6o mila euro. La quadratura del cerchio è stata trovata in un incontro venerdì scorso. Presenti quasi tutte le organizzazioni della distribuzione: Federdistribuzione (grandi catene di super e ipermercati), Ancd-Conad (la struttura sindacale delle cooperative aderenti al consorzio Conad), Confcommercio, Confesercenti, Ancc-Coop (cooperative di consumatori) e Adm (associazione distribuzione moderna). Contraria a ogni mediazione, e quindi non presente al tavolo, solo Confimprese. E parte della proposta anche la richiesta di mantenere la libertà di apertura notturna introdotta dal 2012. II disegno di legge che ha come primo firmatario il leghista Andrea Dara prevede invece negozi chiusi dalle 22.00 alle 7.00 del mattino. Una limitazione che metterebbe fine alle aperture h24 introdotte per esempio da Carrefour. Il governo giallo-verde sembra aver fatto un piccolo miracolo: unire organizzazioni spesso su posizioni diverse. Federdistribuzione, per esempio, uscita da Confcommercio alla fine del ton, ha di recente firmato il suo primo contratto nazionale di lavoro. D’altra parte il mondo del commercio è consapevole del fatto che Lega e MSS, in contrasto su molte questioni, Tav in testa, convergono invece sull’idea di porre limiti alla liberalizzazione delle aperture. Da una parte per andare incontro ai commessi che protestano per i turni. Dall’altra per agevolare il piccolo commercio. Non a caso il ddl sostenuto dal governo contrappone grandi e piccoli. Lasciando ogni libertà ai punti vendita sotto i 150 metri quadrati. Ma anche su questo le organizzazioni del commercio avrebbero trovato un compromesso. Alzando la soglia del «liberi tutti» a 400 metri quadrati di superficie. «Si torna a una mediazione che avevamo già messo a punto nella scorsa legislatura, con sei festività “chiuse” e le domeniche aperte. Peccato che allora il disegno di legge passato alla Camera si sia arenato al Senato — osserva Luciano Cimmino, presidente della holding che controlla Yamamay, Carpisa e Jacked oltre che ex deputato di Scelta Civica —. Una volta chiusa questa partita, però, bisognerebbe affrontare la questione delle questioni: far tornare a crescere il Paese. In questi anni l’unico modo per sopravvivere è stato strapparsi a vicenda quote di mercato”.
tratto dal Corriere della Sera di Rita Querzè